Domenica abbiamo finalmente realizzato un sogno che coltivavamo da anni: un’immersione profonda, tecnica e carica di emozione sul relitto del Focke-Wulf 58, un aereo tedesco della Seconda guerra mondiale adagiato a 110 metri di profondità nel cuore del Lac du Bourget, in Alta Savoia.
Il relitto giace sul fondo del lago dal marzo del 1944. Sono passati oltre 80 anni da quando questo raro esemplare – uno degli ultimi ancora esistenti al mondo – trovò la sua tomba d’acqua. L’aereo apparteneva alla Scuola di Navigazione N.4 della 3ª Flotta Aerea, con base a Lyon-Bron. A bordo, quattro giovani ufficiali in addestramento per diventare operatori radio. Era il loro ultimo giorno di corso, e come da tradizione, il volo finale prevedeva un passaggio radente sul lago. Una manovra rischiosa, e infatti proibita, ma il sergente pilota Ernst Chronz decise comunque di eseguirla. L’aereo toccò la superficie dell’acqua e si schiantò. Due membri dell’equipaggio persero la vita: il sergente Chronz e il caporale Kurt Becker. Gli altri due, Rudolph Schiere e Otto Steinbach, furono miracolosamente salvati da alcuni pescatori.
L’organizzazione del tuffo
Questa immersione era nei nostri piani da tempo. L’avevamo quasi realizzata nel 2019, quando ancora usavamo il circuito aperto, ma alcune defezioni ci costrinsero a rimandare. Sei anni dopo, la voglia di scendere su quel relitto era più viva che mai. Già in estate avevamo preso contatti con Jean-Marc di Savoie Plongée, lo stesso diving che aveva supportato alcuni amici l’anno precedente.
Nei mesi precedenti abbiamo fornito tutta la documentazione necessaria: brevetti, certificati medici, piani di immersione e contingenza, oltre alla prova di almeno quattro immersioni oltre gli 80 metri negli ultimi mesi. Tutto era pronto.
Il giorno dell’immersione
Domenica mattina, ore 8. Il cielo è grigio, una pioggerellina insistente ci accompagna al porticciolo di Chindrieux. Il meteo non è dei migliori, ma le previsioni promettono un miglioramento. Nonostante tutto, siamo concentrati: ci attende un tuffo impegnativo, oltre i 100 metri, nelle fredde e buie acque del lago.
Ognuno si dedica alla preparazione della propria attrezzatura: rebreather, scooter, bibo, stage. Dopo pochi minuti arrivano i ragazzi del diving, sono in tre pronti a fornirci assistenza. Tra un mix di francese e inglese, ci scambiamo le ultime battute: “Che merda di tempo!”, “Quanto dista il relitto?”, “Runtime totale?”.
Il Focke-Wulf 58 non è grande: 20 metri di apertura alare, 9 metri di fusoliera. Abbiamo pianificato un tempo di fondo di 20 minuti, per un runtime totale di 120 minuti. Dopo la pre-respirazione, siamo pronti. Siamo sulla verticale del relitto. Ultime comunicazioni con la superficie: in caso di emergenza, il lancio del pallone giallo sarà il segnale per l’intervento immediato.
Si parte. Qualcuno ha qualche piccolo intoppo – un guanto che si rompe, un erogatore da sostituire – ma tutto si risolve rapidamente. Poi, uno dopo l’altro, ci lasciamo scivolare lungo la cima che ci condurrà, 100 metri più in basso, verso un pezzo di storia sommerso.
La discesa nel buio
La discesa è lunga, avvolta nel nero più profondo. Il contatto con la cima è vitale: le luci sono accese, la concentrazione massima. Non c’è corrente, ma i primi 20 metri sono i più delicati: la visibilità è ridotta a pochi metri, ogni movimento va calibrato con precisione. Poi, come per magia, superata quella soglia, il torbido si dirada e lascia spazio a un buio cristallino. Più scendiamo, più l’acqua si fa limpida, quasi irreale.
Filippo apre la strada, io lo seguo a ruota, dietro di me ci sono Paolo e Dario. Dopo cinque minuti siamo sul relitto, a 98 metri. Il sipario si apre.
Davanti a noi, sospesa a mezz’acqua, la coda del Focke-Wulf si staglia nel buio come un fantasma del passato. I nostri fari illuminano la svastica, simbolo di oppressione e violenza, ancora ben visibile. Sotto di noi, la fusoliera si estende silenziosa, immobile da ottant’anni.


Scendiamo lungo il traliccio che un tempo era la struttura della carlinga. L’area è illuminata a giorno dai nostri fasci di luce. Raggiungiamo il fondo: davanti a noi la cabina di pilotaggio, con le cloche ancora al loro posto. Sopra, l’antenna e il radar, testimoni muti di un’epoca lontana.
Con gli scooter iniziamo a esplorare l’aereo, costeggiando l’ala destra. Ci scambiamo segnali di “ok”, ci stiamo godendo ogni istante. Vedo Filippo scrutare il carrello, in parte sepolto nel limo. Paolo, con cui avevamo parlato durante il viaggio in macchina, mi indica l’effige del Terzo Reich sull’ala: la croce nera, ancora lì, a raccontare la sua storia.
Dario è sopra di noi, intento a scattare foto. Io mi porto a casa scorci mozzafiato: con gli scooter ci muoviamo agili tra le ali e il fondale, catturando immagini spettacolari della coda che si staglia nel buio, come una sentinella del tempo.

Il tempo scorre. Il relitto non è grande, in venti minuti lo esploriamo a fondo. Ci ricompattiamo, uno sguardo al runtime: abbiamo ancora due ore prima di emergere. È il momento di iniziare la lunga risalita.
